Il Credo
CATECHESI SULLA PROFESSIONE DELLA FEDE
Iniziamo con il giornalino parrocchiale di questa settimana una catechesi sul “CREDO”. Sarà un percorso di approfondimento delle Verità principali della nostra Fede. In un periodo di grande confusione, sarà importante riscoprire i punti fermi della nostra religione, per non lasciarci portare qua e là dalle opinioni e dalle mode.
L’esigenza di esprimere e trasmettere la propria fede in formule brevi e obbligatorie per tutti è emersa nella Chiesa fin dalle origini. Esse venivano chiamate “Credo” a motivo della prima parola, perché incominciavano con l’espressione “Io credo”. Venivano anche chiamate “Simboli della fede”, perché la parola greca “Symbolon” indicava la metà di un oggetto spezzato (per esempio un sigillo) che veniva presentato come segno di riconoscimento. Le parti rotte venivano ricomposte per verificare l’identità di chi le portava. Il Simbolo della fede è quindi un segno di riconoscimento e di comunione fra i credenti. La stessa parola “Symbolon” passò poi a significare “raccolta”, “collezione” o “sommario”. Il Simbolo della fede significa la raccolta delle Verità principali della fede. La prima professione ufficiale della fede veniva fatta al momento del Battesimo.
Fra tutti i Simboli della fede due occupano un posto specialissimo nella Chiesa. Sono: “Il Simbolo degli Apostoli” e “Il Simbolo niceno-costantinopolitano”.Il primo è quello che si recita ogni giorno nelle preghiere del buon cristiano. Il secondo è quello che viene recitato durante la Messa alla domenica e nelle Solennità.
Il Simbolo degli Apostoli è chiamato così perché rappresenta una sintesi fedele della dottrina insegnata dagli Apostoli. Esso è il più antico dei Simboli e deriva la sua grande autorità dal fatto di essere l’antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma, dove la fede è stata testimoniata, fino al martirio, dagli Apostoli Pietro e Paolo.
Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano trae la sua grande autorità dal fatto di essere il frutto dei primi due Concili ecumenici della Chiesa, tenutisi negli anni 325 a Nicea e 381 a Costantinopoli. Esso è più ampio del precedente e ne approfondisce le tematiche fondamentali.
Nella nostra catechesi seguiremo il Simbolo degli Apostoli che è così formulato nei suoi dodici articoli:
Credo nello Spirito Santo,
La santa Chiesa Cattolica, la comunione dei santi,
La remissione dei peccati,
La risurrezione della carne,
La vita eterna. Amen.
IO CREDO IN DIO, PADRE ONNIPOTENTE , CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA.
IL BISOGNO DI DIO É INSOPPRIMIBILE Dicendo “Io credo in Dio”, l’uomo decide del senso della sua vita e del suo destino eterno. Il riferimento ad un Essere supremo è una costante della storia dell’uomo, fin dai tempi della preistoria. Non esistono popoli non religiosi.
L’uomo infatti non è un animale al quale basta vivere. Egli ha bisogno di dare un senso alla vita. In lui vi è un’attività spirituale da cui nasce l’esperienza religiosa. In tutte le religioni significative vi è l’esigenza di cercare l’assoluto e l’eterno. La religione è il segno incancellabile che l’uomo non è riducibile a ciò che mangia.
Una delle tesi più ricorrenti del pensiero moderno è che la religione sia l’espressione dello stadio infantile dell’umanità, destinata quindi a lasciare il posto a forme superiori di conoscenza, come quella scientifica. L’uomo che crede in Dio non sarebbe ancora un uomo adulto. Chi sarebbe quindi l’uomo maturo? Quello che ha la consapevolezza della sua assoluta autonomia. L’uomo infantile crede che Dio abbia creato l’uomo. L’uomo adulto invece sa che è l’uomo ad aver creato Dio. È nata così l’illusione che fosse possibile una vita senza Dio. Sappiamo come dei regimi ferocemente antireligiosi abbiano cercato in tutti i modi di imporre l’ateismo. Hanno indubbiamente causato danni enormi sul piano personale e sociale, ma si può dire che siano riusciti a estirpare la religione?
La motivazione ineliminabile della religione è la natura spirituale dell’uomo. L’uomo non coincide col suo corpo, che è soltanto la dimensione esteriore e terrestre della sua persona. Egli ha un’anima immortale, dalla quale zampilla il suo essere intelligente, consapevole, libero, capace di agire moralmente e soprattutto di amare. Bisognerebbe uccidere l’anima per eliminare la religione. Ma l’uomo senza anima è ancora un uomo?
DIO SI È FATTO CONOSCERE Non ti sei mai chiesto, prendendo in mano il libro per eccellenza, la Bibbia, quello straordinario complesso di testi, scritti nel corso di un millennio, perché sia chiamato “Parola di Dio”?. Eppure sono degli uomini, sia pure animati da una grande fede, che li hanno scritti. Quei libri sono chiamati “Parola di Dio”, perché in essi è Dio che parla. Forse questo è un pensiero che non avevi mai preso in considerazione. Credevi che Dio fosse inconoscibile, nascosto e forse anche assente dalla vita delle persone e dagli avvenimenti della storia. Non è così. Dio non ha creato il mondo e l’uomo per abbandonarli a un cieco destino. Egli veglia su di noi, ci accompagna, provvede alle nostre necessità, ci guida quasi di nascosto, ma soprattutto ci parla di lui e del suo progetto di immenso amore per ciascuno di noi.
In nessun libro sacro delle religioni Dio appare in tutta la sua grandezza, bellezza, santità e verità come nella Bibbia. Se vuoi conoscere il volto nascosto di Dio è nella Sacra Scrittura che devi cercarlo. In quelle pagine divine e immortali è raccontata un’esperienza di Dio straordinaria che ogni uomo è chiamato a fare. Passo dopo passo Dio toglie i suoi veli, con i quali si nasconde ai nostri occhi, e si “rivela”.
Il piccolo popolo ebreo, destinatario di questa rivelazione perché fosse un dono per tutta l’umanità, scopre sempre più il volto autentico del Creatore fino alla rivelazione suprema, quando Dio invia nel mondo i suo Figlio, divenuto uomo nel grembo della Vergine Maria. Allora è guardando al volto di Gesù Cristo che noi vediamo il Padre. Per conoscere Dio dobbiamo guardare a Gesù. Egli è Dio che ha assunto la natura umana. Attraverso le parole di Gesù, le sue opere, ma soprattutto attraverso il mistero della sua persona di Uomo-Dio, a noi è dato di entrare in contatto con l’Assoluto. Altre vie non ve ne sono. Gesù è la “via” che il Padre ha donato a tutti gli uomini perché giungessero a lui.
IL PADRE Chiamare Dio col nome di “Padre” non è specifico del cristianesimo. Tale affermazione si trova anche in altre religioni. Gli antichi greci ad esempio chiamavano Zeus “padre degli dei e degli uomini”. L’Antico Testamento conosce la paternità di Dio, della quale parla con espressioni profonde e commoventi, descrivendo la tenerezza di Dio per le sue creature con i tratti non solo della paternità ma anche della maternità. In particolare viene affermato che Dio è il “Padre dei poveri”, dell’orfano, della vedova, che sono sotto la sua speciale protezione. Tuttavia Dio è chiamato “Padre” in quanto Creatore del mondo che egli conserva e governa con somma sapienza e infinito amore. Non siamo ancora arrivati a quella rivelazione della paternità divina che ci ha donato Gesù Cristo.
Gesù ci ha rivelato che Dio è “Padre” in un senso inaudito: non lo è soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio suo unigenito. Quando noi diciamo che Dio è Padre, lo affermiamo in primo luogo riguardo a Gesù Cristo, che è il Figlio del Padre eternamente generato. Lo affermiamo anche riguardo a noi, ma solo perché siamo “figli nel Figlio”, uniti a Gesù mediante la fede e la grazia.
Questa esclusività del suo rapporto col Padre, Gesù l’ha ribadita molte volte, distinguendo anche fra “Padre mio” e “Padre vostro”. Egli non si è messo sul nostro piano in rapporto al Padre, ma al contrario si è messo sullo stesso piani del Padre: “Nessuno conosce Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Matteo 11,27).
A questa rivelazione della paternità di Dio da parte di Gesù ha corrisposto la fede degli Apostoli, i quali hanno visto in lui “il Verbo” che “in principio era presso Dio e il Verbo era Dio” (Giovanni 1,1).
Sulla scia della Tradizione apostolica, la Chiesa ha professato che il Figlio è “consustanziale al Padre”, cioè è un solo Dio con lui. In seguito è stata formulata quella professione di fede che i cristiani recitano ogni domenica, quando confessano “il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”.
ONNIPOTENTE Gli aggettivi divini sono tanti: l’onniscienza, la bontà, la sapienza, la santità, la giustizia, la misericordia e molti altri.
Il Credo fra tutti cita l’onnipotenza: “Noi crediamo che tale onnipotenza è universale, perché Dio, che tutto ha creato, tutto governa e tutto può; amante, perché Dio è nostro Padre; misteriosa, perché soltanto la fede la può riconoscere” (Catechismo della Chiesa Cattolica).
Descrivere l’onnipotenza di Dio non è facile, perché essa supera ogni capacità umana. San Tommaso d’Aquino al riguardo così dice: “La volontà di Dio si realizza sempre”. Quando questa convinzione di fede illumina la vita, tutte le paure e le angosce svaniscono come nebbia al sole. Infatti la volontà di Dio è una volontà di amore. Essa può tutto ciò che vuole.
L’onnipotenza divina si estende a tutta la creazione; nulla a Dio è impossibile ed egli dispone della sua opera come gli piace. Pur rispettando la libera volontà degli uomini, egli muove i cuori e guida gli avvenimenti secondo il suo beneplacito. Ciò che Dio nella sua infinita sapienza e bontà decide, immancabilmente si realizza, nonostante la resistenza delle creature.
CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA Con l’apparire dell’uomo sulla terra sono incominciati quegli interrogativi che sono propri di chi possiede un’anima spirituale. All'uomo infatti non è mai bastato vivere, come avviene per gli animali. Egli non cessa mai di porsi le questioni riguardanti l’origine e il fine dell’universo e il significato della sua vita.
“Chi sono?”, “Da dove vengo?”, “Dove vado?”, “Qual è il senso della vita, del dolore, del male e della morte?”, “Da dove viene tutto ciò che esiste?”: sono quelle domande ineliminabili che accompagnano il pellegrinaggio degli uomini sulla terra e alle quali essi hanno tentato in diversi modi di rispondere.
La Sacra Scrittura afferma: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Genesi 1,1). Queste prime parole della Bibbia contengono tre affermazioni: Dio eterno ha dato inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore. La totalità di ciò che esiste (espressa nella formula “il cielo e la terra”) dipende da colui che le dà l’esistenza: Che cosa ha spinto Dio a creare il mondo? Qual è la motivazione ultima della creazione?
La Sacra Scrittura e la Tradizione affermano che il mondo è stato creato per la gloria di Dio. Si tratta di un’espressione che deve essere intesa nel senso giusto. Dio infatti non ha creato per sé stesso, quasi avesse bisogno di qualcosa. Egli ha creato tutte le cose “non per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla” (San Bonaventura).
La motivazione ultima è l’esigenza di donare il suo amore e la sua gioia. La gloria di Dio è dunque la felicità dell’uomo. Il Creatore non si è tenuto gelosamente per sé la sua divinità, ma l’ha generosamente donata a noi, traendoci dal nulla e predestinandoci alla gloria trinitaria. Essere Dio per partecipazione è la nostra meta finale. Dio non poteva concepire qualcosa di più grande.
Dicendo che Dio è il creatore del cielo e della terra, il Credo vuole affermare che tutto ciò che esiste è stato tratto dal nulla dalla mano dell’Onnipotente. Per cielo e terra si intendono tutte le cose visibili e invisibili. La terra è il mondo degli uomini, mentre il cielo è il luogo proprio di Dio e degli Angeli che lo circondano. È anche la meta a cui l’uomo è predestinato dalla divina misericordia.
La professione di fede del Concilio Lateranense IV afferma che Dio, “fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli Angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo”.
E IN GESÚ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE
Il cuore del cristianesimo è la persona di Gesù Cristo. Il cristiano non è colui che crede in Dio, ma colui che crede che Gesù Cristo è Dio. Ciò che rende il cristianesimo “scandaloso” e costituisce per molti una pietra d’inciampo, è l’affermazione che una persona concreta, Gesù di Nazareth, è il Figlio eterno di Dio che ha assunto una natura umana. Se Gesù Cristo non fosse Dio, la fede cristiana si dissolverebbe come la nebbia al sole.
Come infatti un uomo potrebbe essere il Redentore e il Salvatore del genere umano?
Chi potrebbe liberare l’umanità dalla schiavitù del maligno, del peccato e della morte?
I cristiani devono essere più che mai consapevoli di questo che è il cuore della fede. A questo riguardo è particolarmente preziosa la professione di fede del Catechismo: “Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazareth, nato ebreo da una figlia di Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell’imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme sotto il procuratore Ponzio Pilato mentre regnava l’imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è venuto da Dio, disceso dal cielo, venuto nella carne; infatti, “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Giovanni 1, 14 ss.).
I principali titoli di Gesù: CRISTO, FIGLIO DI DIO, SIGNORE.
Gesù è il nome più caro al cuore di ogni cristiano. Esso viene direttamente dal cielo: è l’Arcangelo Gabriele che al momento dell’Annunciazione lo indica alla Vergine Maria. Gesù in ebraico significa “Dio salva”.
Nel pronunciare il nome di Gesù il cristiano professa la sua fede nella divina misericordia, poiché in questo nome Dio si manifesta come colui che ci salva dal peccato, mediante il suo perdono e la sua grazia.
CRISTO è la traduzione greca del termine ebraico “Messia” che significa “Unto”. Per comprenderne il significa-to è necessario fare riferimento alla tradizione di Israele, dove erano unti nel nome di Dio i re, i sacerdoti e a volte anche i profeti. Si trattava di una consacrazione che abilitava a una missione affidata da Dio stesso. L’unto per eccellenza avrebbe dovuto essere il Messia che, secondo le profezie, Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo regno. Secondo Isaia l’unzione del Messia doveva avvenire non per mano umana, ma per opera dello Spirito Santo. Gesù è colui che realizza la speranza di Israele e quindi “Cristo” diventa il suo nome proprio.
FIGLIO UNICO DI DIO. Noi diciamo che Gesù Cristo è “Figlio di Dio” non nel senso in cui tutti gli uomini si possono chiamare figli di Dio, in quanto sue creature e neppure nel senso in cui lo siamo noi cristiani, perché la nostra filiazione ha il carattere dell’adozione.
Il titolo di “Figlio di Dio” attribuito a Cristo, ha il significato di una filiazione divina, unica, che affonda le sue radici nel mistero della Trinità.
Gesù, pur avendo rivelato gradualmente il mistero della sua persona divina, in alcuni casi lo ha esplicitamente dichiarato. In particolare, davanti al Sinedrio, alla domanda dei suoi accusatori: “Tu sei dunque il Figlio di Dio?”, Gesù ha risposto: “Lo dite voi stessi: io lo sono”. Questo è indubbiamente il contesto più solenne e significativo, che ha procurato a Gesù la condanna a morte per bestemmia.
SIGNORE. Nel Nuovo Testamento la divinità di Gesù Cristo viene affermata in modo particolare con il titolo di “Signore”. Questo nome è quello abituale per indicare la divinità del Dio d’Israele. Ciò che colpisce è il fatto che venga attribuito non solo al Padre, ma anche a Gesù, che in tal modo viene riconosciuto egli stesso come Dio, uguale al Padre nella divinità. I primi cristiani hanno usato abbondantemente il nome divino di “Signore” per affermare che la potenza, l’onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di natura divina e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria.
FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE
La fede nel'’incarnazione significa che il Figlio di Dio, eternamente generato dal Padre, si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo non è in parte Dio e in parte uomo, né una mescolanza confusa di divino e umano. Egli è vero Dio e vero uomo.
Nella misteriosa unione dell’incarnazione la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata. La Persona divina del Figlio di Dio ha assunto quindi la piena realtà dell’anima umana, con le sue operazioni di intelligenza e di volontà, e del corpo umano di Cristo. Tutto ciò che egli è e ciò che egli fa in essa deriva da uno della Trinità.
Essendo Gesù Cristo una sola Persona in due nature (divina e umana), egli aveva un’intelligenza divina e un’intelligenza umana, come pure una volontà divina e una volontà umana. Gesù, dunque, oltre alla conoscenza divina ha anche una conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo.
Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto accettare di “crescere in sapienza, età e grazia” e anche di doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l’esperienza. Tuttavia questa conoscenza umana di Cristo andava ben oltre le possibilità della nostra natura. Il Figlio di Dio conosceva ogni cosa. È infatti con la sua intelligenza umana che Gesù Cristo ha una conoscenza intima e immediata del Padre suo, come appare chiaro dalle sue stesse parole: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio: nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. Qui non vi sono limiti alla conoscenza umana di Gesù per quanto riguarda i misteri di Dio; infatti come non poteva conoscerli nella loro profondità colui che doveva rivelarli?
Per quale via il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è entrato nel mondo?
Dio ha scelto una donna, una vergine, per divenire uomo. Maria è chiamata a dare il suo libero assenso alla maternità. Il Verbo si è fatto carne non per volere di uomo, ma per la fede di Maria e l’azione creatrice dello Spirito Santo. Dio da tutta l’eternità ha scelto Maria perché fosse Madre del Figlio suo. A tal fine l’ha arricchita di doni degni di una così grande missione.
La Chiesa professa la perpetua verginità della beata Vergine Maria. Ella fu vergine nel suo corpo, nel quale il Verbo si è fatto carne; fu vergine nella mente, per l’integrità della sua fede; fu vergine nel suo cuore, totalmente donato al Signore; fu vergine nella sua anima, ricolma della pienezza di grazia. La sua verginità è segno della sua assoluta e irrevocabile appartenenza a Dio.
PATÍ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORÍ E FU SEPOLTO
Una parte rilevante dei Vangeli è dedicata alla passione, morte e risurrezione di Gesù. Sono gli eventi del mistero pasquale nei quali si è realizzata la salvezza del modo. Se la fede cerca di comprendere, per quanto è possibile, perché Dio si sia fatto uomo, ancor più s’interroga sul perché della croce.
Sotto il profilo storico è lecito chiedersi come sia potuto accadere che un uomo come Gesù Cristo, mirabile per sapienza, per santità di vita e per ricchezza di umanità, sia stato condannato a morte come un malfattore. La riflessione sulla condanna a morte di Gesù ci porta al cuore del messaggio cristiano. Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci. Nei suoi tre anni di vita pubblica egli ha manifestato in vari modi il mistero divino della sua Persona e della sua missione. Non solo le autorità religiose, ma anche il popolo è stato messo di fronte a una decisione che non ha precedenti nella storia dell'umanità. Non è mancata l’adesione della fede di una parte del popolo ebraico, ma non sono mancati il rifiuto e l’opposizione di coloro che hanno voluto la morte di Gesù per bestemmia. Il capo di accusa per il quale Gesù è stato ucciso, è quello di essersi messo alla pari di Dio, identificandosi con lui, pur essendo un uomo. Questa condanna a morte, approvata dall'autorità romana, non è imputabile a tutti gli ebrei di Gerusalemme e tanto meno agli altri ebrei nel tempo e nello spazio. Di essa è responsabile ogni singolo peccatore, il quale con i suoi peccati è causa delle sofferenze del Redentore.
Sotto la guida dello Spirito Santo la comunità apostolica ha iniziato a riflettere. Quello che agli occhi della carne poteva apparire un frutto del caso e il concorso di circostanze sfavorevoli, in realtà era la realizzazione di un piano divino preparato fin dall'eternità. “Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio”, afferma l’apostolo Pietro agli ebrei di Gerusalemme. Gli uomini, pur operando liberamente e con piena responsabilità, avevano attuato il disegno eterno della salvezza. L’opera mirabile della creazione e della redenzione, comprendeva quindi anche la croce. Essa nel piano di Dio era necessaria perché il peccato fosse riparato e l’umanità fosse riscattata dal male.
Morendo in croce, Gesù ha riparato per i nostri errori e ha dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati. Non bisogna rappresentarsi Dio come qualcuno che vuole il sangue del Figlio per soddisfare la sua esigenza di giustizia. È il Padre infatti che dona il Figlio per amore ed è il Figlio che accetta la croce per amore. La giustizia divina però esige che il male sia vinto e cancellato dal bene. Questo l’uomo non era in grado di farlo. L’iniziativa divina era dunque necessaria perché gli uomini fossero salvati. Dall'abisso della loro miseria infatti non avrebbero mai potuto risalire da soli.
DISCESE AGLI INFERI; IL TERZO GIORNO RISUSCITO’ DA MORTE
La discesa di Gesù agli inferi è una delle affermazioni del Credo meno comprese dalla gente comune, le cui convinzioni riguardanti l’aldilà sono spesso avvolte da una fitta nebbia. Per cogliere il valore di questa affermazione è necessario innanzitutto comprendere il significato della parola “inferi”. Con questa espressione (in ebraico “Sheòl”; in greco “Ade”) la Sacra Scrittura indica la sede in cui erano raccolte le anime di coloro che, morti prima di Cristo, non erano saliti alla beatitudine celeste. Prima della redenzione, le anime che andavano nel soggiorno dei morti avevano come destinazione o l’inferno, se si trattava degli empi morti nell'impenitenza; o il purgatorio, se si trattava delle anime dei giusti ancora bisognose di purificazione; oppure, per quanto riguarda le anime dei santi, una situazione di pace e di speranza, in attesa della venuta del Salvatore. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati, né per distruggere l’inferno, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto. Frutto della discesa di Gesù Cristo agli inferi fu dunque la liberazione delle anime dei giusti dal carcere per condurli con sé in cielo.
Il mistero della Risurrezione è un avvenimento reale. La presenza del sepolcro vuoto in sé non è una prova diretta della risurrezione. Tuttavia ne è la premessa indispensabile. Infatti, se il corpo di Gesù fosse stato trovato dalle pie donne, come sarebbe stato possibile riconoscere l’evento della risurrezione? Il ritrovamento del sepolcro vuoto innesca all'inizio, sorpresa, ponendo interrogativi angosciosi, come nel caso della Maddalena, che pensa che abbiano portato via il corpo del Signore. Gli avversari di Gesù sfruttano la possibilità di una spiegazione umana, incaricando i soldati di guardia di dichiarare che i suoi discepoli, di notte, mentre loro dormivano, erano venuti e avevano rubato il suo corpo.
Questo tipo di congetture però non era tale da convincere gli apostoli, i quali hanno visto nel sepolcro vuoto un segno essenziale. Nell'oscurità che avvolgeva la loro anima era incominciato a filtrare un raggio di speranza. La grazia di comprendere, attraverso la presenza del sepolcro vuoto, l’evento della risurrezione l’ha avuta “il discepolo che Gesù amava”. Giovanni afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo le bende per terra, “vide e credette”. Ciò suppone che egli abbia constatato che l’assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato a una vita terrena, come era avvenuto per Lazzaro.
Il passo decisivo per riconoscere l’evento della risurrezione sono state indubbiamente le apparizioni di Gesù risorto. Seduto sulla pietra della tomba vuota, ecco un angelo che dice alle donne: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il crocifisso; non è qui: è risorto, come aveva detto”. Gesù risorto appare alle donne e in seguito agli apostoli. La fede della prima comunità dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Oltre agli apostoli, san Paolo parla di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta.
La fede nella risurrezione è certamente un dono di grazia, alla cui origine però vi è l’esperienza diretta della realtà di Cristo risorto. D’altra parte come spiegare il radicale cambiamento psicologico degli apostoli, prima tristi e impauriti, poi così sicuri di sé nel dare testimonianza e così coraggiosi da affrontare persecuzioni, mettendo a rischio la propria vita?
SALI’ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO, PADRE ONNIPOTENTE. DI LÁ VERRÁ’ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI.
La risurrezione e l’ascensione sono due manifestazioni diverse del mistero di Cristo. Dopo la risurrezione infatti la sua gloria rimane come velata. Questo è evidente nelle numerose apparizioni durante i quaranta giorni.
Il Risorto non manifesta lo splendore divino del suo corpo glorificato, ma sembra quasi adattarsi alla normalità dell’esistenza quotidiana, mangiando e bevendo familiarmente con i suoi discepoli. In questo periodo Gesù non è ancora salito nella gloria del Padre. Si tratta di una tappa specifica della sua missione, durante la quale egli rafforza la fede degli apostoli e li prepara a ricevere lo Spirito Santo.
Con l’ascensione l’umanità glorificata del Cristo viene introdotta nella gloria trinitaria. Colui che è di-sceso dal cielo mediante l’incarnazione, vi fa ritorno. L’elevazione è il compimento del disegno divino incominciato con l’abbassamento. Con l’ascensione il Verbo incarnato ritorna nel seno del Padre portando la nostra umanità. Guardando al cielo, dove Gesù è stato elevato, l’uomo può contemplare quale straordinario destino gli sia stato riservato. La casa dell’uomo è la medesima casa del Padre. L’ascensione è un invito a guardare al cielo come a quella dimora eterna dove per ogni uomo la divina misericordia ha previsto un posto.
Gesù Cristo risorto ed elevato al cielo ritornerà ancora sulla terra, con grande potenza e gloria, per giudicare i vivi e i morti. La seconda venuta di Cristo è una delle tematiche più presenti nel Nuovo Testamento. Finirà la storia? Quando finirà? Come finirà?
Sono interrogativi che l’uomo di tutti i tempi si pone e a cui la fede cristiana dà una risposta che pro-viene da Cristo stesso. Infatti, chi se non il Figlio di Dio, poteva gettare luce su questi interrogativi che vanno al di là di qualsiasi possibilità umana? Nelle sue anticipazioni sul futuro Gesù non solo ha preannunciato la sua morte e risurrezione, ma anche profetizzato la sua venuta nella gloria alla fine del mondo.
Di particolare importanza sono le parole di Gesù di fronte al Sinedrio, perché in quella solenne circo-stanza, applicando a sé la profezia di Daniele sulla venuta del Figlio dell’uomo, Gesù si attribuisce il potere divino di giudicare gli uomini. Interrogato se lui fosse il Messia, il Figlio di Dio benedetto risponde: “Io lo sono e vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza venire sulle nubi del cielo” Si tratta con tutta evidenza di una venuta futura di Cristo, diversa da quella nell'umiltà della carne: è la venuta del Re della gloria, con il potere divino di giudicare.