I Novissimi
I NOVISSIMI ( Morte – Giudizio – Paradiso – Inferno – Purgatorio )
Di tanto in tanto è bene ritornare sui punti fondamentali della nostra fede, non per un esercizio intellettualistico, ma per dare sostanza al nostro vivere da cristiani. Approfondiremo questa volta i cosiddetti “Novissimi”, cioè le realtà ultime della nostra vita e della storia. Come diceva qualcuno, la vita ha un senso se guardata dalla fine, o meglio dal suo fine. Se uno pensa che dopo la morte si apre una prospettiva nuova, allora è in grado di dirigere la propria esistenza verso quella meta finale.
IL GIUDIZIO PARTICOLARE
Il momento della propria morte è il più solenne ed è quello decisivo della vita di una persona. Prima che l’anima si separi dal corpo l’uomo ha ancora tempo per decidere del suo destino eterno. Fino all’ultimo istante della vita viene offerta, come dono estremo di amore, la grazia che salva. Quando però l’anima si è separata dal corpo, il tempo di meritare o demeritare è finito per sempre e compare davanti al suo Signore per rendere conto di tutti i suoi pensieri, di tutte le sue opere e parole e per sentirsi la sentenza del Giudice divino.
Così insegna il Catechismo: “Ogni uomo dovrà comparire due volte davanti al suo Signore"
• La prima volta subito dopo la morte. È il giudizio particolare durante il quale l’uomo subirà da Dio l’esame di tutto ciò che avrà operato, detto e pensato nel corso della sua vita.
• La seconda volta, per il giudizio universale. In un giorno e in un luogo stabilito da Dio tutti gli uomini saranno riuniti dinanzi al tribunale divino, affinché, alla presenza degli uomini di tutti i secoli, ciascuno conosca ciò che è stato stabilito e giudicato per lui. La sentenza così pronunciata sarà per gli empi una parte non minima delle loro pene e dei loro supplizi; i giusti invece trarranno da essa grande gaudio, poiché a tutti sarà manifestata quale fu la vita di ciascuno”.
Per quanto riguarda il giudizio particolare va precisato che esso si effettua nell’istante stesso della morte. Qualsiasi tentativo di dilazionare il giudizio, quasi che ci fosse la possibilità di una conversione dopo che l’anima si è separata dal corpo, è contrario agli insegnamenti della fede. È dunque fino all’ultimo istante della vita che l’uomo può decidere del suo destino eterno. Illudere le anime con la falsa prospettiva di una possibilità di ravvedimento dopo la morte, significa rendere vano l’urgente appello alla conversione di Gesù Cristo e della Chiesa.
“Il pensiero del giudizio di Dio solleciterà sempre più il giusto a praticare la giustizia, gli darà un senso di gioia anche in mezzo alla povertà, all’infamia, ai dolori; rivolgerà la sua mente al giorno in cui, dopo questa vita di lotte e di tormenti, Dio lo dichiarerà vincitore dinanzi a tutti e sarà reso degno di entrare nella patria celeste fra onori divini e eterni. Non ci resta quindi che deciderci a una vita veramente santa, ricca di ogni esercizio di virtù e di pietà, per poter attendere con sicurezza il grande giorno del Signore, per poterlo anzi desiderare, come si conviene a degni figli di Dio” (Catechismo).
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
La storia umana ha il suo centro nell’evento dell’Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del Figlio di Dio Gesù Cristo. Il mondo redento, ma dove opera ancora il mistero del male, va verso il suo compimento finale. Il tempo della fine sarà segnato dalla venuta gloriosa di Cristo, dalla risurrezione dei morti e dal giudizio finale. Di questi eventi solo il Padre conosce il giorno e l’ora.
Prima del giudizio finale risorgeranno tutti i morti, sia i giusti come gli ingiusti. Questo evento straordinario e mirabile, che manifesta la potenza di Dio creatore, si realizzerà quando Cristo “verrà nella gloria con tutti i suoi angeli. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra … E se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Matteo 25, 31 ss.).
Il giudizio finale non cambierà la sentenza sul destino eterno di ognuno, già stabilita in modo definitivo al momento della morte.
Tuttavia, in quel momento solenne davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.
La zizzania sarà definitivamente separata dal buon grano. Il bene e il male, la verità e la menzogna, la virtù e il vizio, la fede e l’incredulità verranno giudicati per quello che sono. Lo sbocco finale della storia, come la vita dei singoli, non sarà una notte oscura dove tutto viene inghiottito dall’oblio e dall’indifferenza. “Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa” (sant’Agostino). Tutto il bene sarà premiato e tutto il male sarà punito con una sentenza immutabile ed eterna.
Dopo il giudizio universale i giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima e lo stesso universo sarà trasformato. Questa affascinante prospettiva della fede manifesta la grandezza del disegno di Dio. Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo come una “nuova creazione”, è definito con l’espressione “i nuovi cieli e una terra nuova”. In questo nuovo universo, chiamato anche “Gerusalemme celeste”, dove non ci sarà più il male, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21,4). Tutta la creazione materiale e spirituale parteciperà alla gloria di Cristo risorto nella comunione di amore della Santissima Trinità.
IL PARADISO
Lo sbocco dell’esistenza umana che Dio ha previsto per tutti gli uomini è la partecipazione alla sua stessa vita intima. La salvezza eterna di tutti è quanto Dio desidera più di ogni altra cosa e non lascia nulla di intentato perché il suo progetto di infinito amore si realizzi. Se non tutti gli uomini si salvano, questo dipende unicamente dalla loro responsabilità e dal rifiuto libero e consapevole della grazia della salvezza che viene data a tutti, anche a coloro che non conoscono ancora la fede cristiana.
Il Paradiso è la comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità che si realizza mediante l’unione col Figlio di Dio fatto uomo, nostro Salvatore e Redentore.
Gli eletti vivono in lui, ma conservando, anzi trovando la loro vera identità, il loro proprio nome. In cielo gli eletti sono “figli nel Figlio”, sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono così com’è, contemplandolo faccia a faccia. Insieme all’intima unione con Dio, i salvati sperimentano anche quella con la Vergine Maria, gli Angeli e tutti i Santi. Il Paradiso dunque è una “beata comunità” di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in Cristo. Partecipando all’amore eterno delle tre Persone divine, i beati sperimentano la perfetta comunione di amore fra di loro.
L’esperienza esistenziale del Paradiso è quella della gioia perfetta, il cielo infatti è la realizzazione delle aspirazioni più profonde dell’essere umano.
Tuttavia, per quanto riguarda l’uomo pellegrino sulla terra, anche se può già in qualche modo pregustare la beatitudine eterna, va detto che la gioia del cielo supera qualsiasi sua possibilità di comprensione e di descrizione. La Sacra Scrittura ne parla con immagini tratte dalle realtà di questo mondo: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste. La vita eterna è una realtà così grande, in rapporto alla nostra vita sulla terra, che valgono al riguardo le parole di san Paolo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”
(1 Corinzi 2,9).
La gioia del cielo è piena per quanto riguarda tutti i beati. Tuttavia, la visione beatifica viene concessa a ciascuno secondo la capacità che Dio, nella sua infinita sapienza, dona ad ognuno. A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto qual è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. In Paradiso i beati sono parte viva e preminente della Chiesa. Essi sono attivi nell’intercessione presso Dio. Nella gioia del cielo essi continuano a compiere con gioia la volontà di Dio. Santa Teresa di Gesù Bambino ha promesso che in cielo avrebbe fatto cadere una pioggia di rose sulla terra, mentre Santa Bernadette Soubirous sul letto di morte affermava che non avrebbe dimenticato nessuno.
Il Paradiso è un dono e una conquista. Perseverando lungo la via della salvezza, seguendo e imitando Cristo e confidando nella sua divina misericordia, il cristiano può ben sperare che al termine della sua vita potrà udire le parole consolanti che il Signore rivolgerà ai buoni: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Matteo 25, 34).
IL PURGATORIO
La realtà del Purgatorio riguarda quelle anime che sono morte in grazia e nell’amicizia con Dio, ma sono ancora imperfettamente purificate e quindi non possono ancora entrare nella gioia del cielo. Il Purgatorio è dunque una purificazione finale dell’anima.
Si tratta per sua natura di uno stato transitorio e non eterno, come invece sono il Paradiso e l’Inferno. Soprattutto si tratta di una situazione in cui le anime sono certe della loro salvezza eterna.
L’insegnamento della Chiesa riguardo al Purgatorio ha radici molto antiche e poggia in primo luogo sulla pratica della preghiera per i defunti che anche la Sacra Scrittura conosce. Al riguardo l’insegnamento della Chiesa è così espresso dal papa san Gregorio Magno: “Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del giudizio, un fuoco purificatore; infatti, colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato né in questo secolo, né in quello futuro. Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre in quello futuro”.
Per quanto riguarda il “fuoco purificatore” ne parla l’apostolo Paolo scrivendo alla comunità di Corinto, quando afferma che alla fine il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno: “Se l’opera che uno costruì sul fondamento (Gesù Cristo) resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera sarà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 3,14-15).
Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti. “Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e a offrire per loro le nostre preghiere” (san Giovanni Damasceno).
Circa le pene del Purgatorio bisogna guardarsi da rappresentazioni che non ne colgano l’aspetto di speranza e la situazione di salvezza in cui le anime si trovano. Si tratta di sofferenze che purificano e preparano le anime alle nozze con l’Agnello. Più che la curiosità riguardo alle pene giova il grande aiuto che la Chiesa pellegrinante sulla terra può arrecare alle anime con la sua preghiera, in particolare col sacrificio eucaristico. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore.
L’INFERNO
La realtà di fede riguardante l’Inferno è fra le più difficili da accettare, specialmente oggi e non ci si deve meravigliare se lungo il corso della storia cristiana si siano ripetuti i tentativi di sminuire o di svuotare al quanto la parola di Dio ci rivela al riguardo e la Chiesa autorevolmente ci insegna. La negazione dell’Inferno o della sua eternità parte da un presupposto errato. Esso non sarebbe compatibile con la misericordia divina. In realtà l’Inferno non è un difetto della misericordia di Dio, la quale è infinita e non lascia nulla di intentato perché ogni uomo si salvi; ma è al contrario il suo rifiuto libero e consapevole da parte della creatura umana. Dio non ci obbliga ad accettarlo e ad amarlo. L’amore per sua natura è sempre una libera scelta. Diversamente non sarebbe tale.
Lo slogan corrente secondo il quale l’Inferno sarebbe vuoto, o più elegantemente, la speranza che sia vuoto, urta in primo luogo contro la verità di fede riguardo a satana e agli angeli ribelli, i quali con libera scelta hanno radicalmente e irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo regno. Il fuoco eterno infatti, secondo la parola di Cristo, è stato preparato per loro (Matteo 25,41).
Per quanto riguarda gli uomini, la possibilità della perdizione eterna diviene una tremenda realtà quando essi muoiono nello stato di peccato mortale senza pentirsi. Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio e con i beati che designato con la parola Inferno. L’Inferno in ultima istanza è una scelta libera e consapevole dell’uomo. Dio rispetta la libertà, benché la sua grazia operi sino alla fine per ottenere la nostra adesione. Basterebbe per salvarsi un atto di umiltà, con cui sottomettersi a Dio e chiedere il suo perdono. Dio non predestina nessuno ad andare all’Inferno; questo è la conseguenza di un’avversione volontaria a Dio, in cui si persiste fino alla fine.
Ai non pochi cristiani che si scandalizzano di fronte alla realtà dell’Inferno gioverà riflettere che la sua esistenza, la sua natura e la sua eternità, provengono dalla viva voce di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, ma anche nostro Giudice. Gesù parla ripetutamente della “geenna”, del “fuoco inestinguibile”, che è riservato a chi, sino alla fine della vita, rifiuta di credere e convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annuncia con parole severe: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Matteo 13,41-42), ed egli pronuncerà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno” (Matteo 25,41).
Sono parole terribilmente “scomode”, ma provengono dalla bocca del Figlio di Dio, di colui che è la Pietà e la Misericordia e che è morto sulla croce per ottenere agli uomini il perdono di tutti i loro peccati. L’Inferno è lo sbocco finale di chi rifiuta fino all’ultimo istante della vita questa offerta di totale perdono da parte dell’Amore misericordioso.
La dottrina della Chiesa sull’Inferno, riguarda innanzitutto la sua esistenza e la sua eternità. Nella Sacra Scrittura e nel magistero della Chiesa non si fanno allusioni a persone individue che si troverebbero all’Inferno. Neppure per Giuda è possibile fare un’affermazione assolutamente certa al riguardo. La Chiesa però indica le condizioni per cui una persona può perdersi e nel suo insegnamento ne precisa anche le pene. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’Inferno, il fuoco eterno. La pena principale dell’Inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
La prospettiva dell’Inferno, come possibilità estrema della libertà umana, deve rendere il cristiano sommamente vigilante riguardo al cammino che sta percorrendo, riflettendo dove lo sta portando. La sollecitudine per il proprio destino eterno deve essere il pensiero dominante del cristiano. Infatti, una sola cosa è necessaria: la salvezza eterna della propria anima.